venerdì 7 agosto 2020

Tarquinia: le mura figlie di M. Ignota e Salvatore Quasìmodo

Il dilettantismo e la pochezza  che da decenni  affossano la città sono sotto gli occhi di tutti, la nullità culturale  delle diverse amministrazioni succedutesi è condensata in modo esemplare nelle informazioni fornite dalle paline turistiche, un efficace esempio di come si possa  ridicolizzare il paese che le ospita per la serie sterminata di strafalcioni, approssimazioni, omissioni che vi compaiono. Recentemente alcune sono state rimosse e ci si augura che, se riproposte, siano anche riviste (una per tutte: la chiesa della Trinità è della metà del XIX e non del XIII secolo ed è ovvio che come tutte  le chiese sia  stata costruita d.C., come acutamente puntualizzato – resto però disponibile a scusarmi della mia puntigliosità  se venga dimostrato che qualcuna precede la nascita di Nostro Signore -. Poco consola l’eliminazione dei quattro totem che su iniziativa dell’Amministrazione Mazzola (assessore Celli) hanno ingombrato per anni il Palazzo Comunale (con una spesa, sembra, di 14.000 euro) che potevano essere sostituiti da un semplice leggio con testi in varie lingue, però forse dal costo troppo esiguo. Da notare che la solita palina informativa segnalava Palazzo Comunale, sala degli affreschi, sec. XIII  (d.C.) motivo per cui il visitatore si aspettava di trovarvi dipinti forse di Cimabue, delusione! Sono del 1629, data riportata in una delle scene, bastava che l’assessore allora competente li avesse guardati almeno una volta, come anche il competente estensore dei testi.

Ma siamo confortati dalle promesse espresse in campagna elettorale dal sindaco Giulivi, di nominare figure tecniche di comprovata competenza nel ruolo di assessori. Sicuramente l’avrà fatto, soprattutto nell’ambito della cultura, tanto più che lo stesso recentemente ha pronosticato che il futuro della città risiede nella cultura e nel turismo. Però dopo un anno dall’insediamento della nuova amministrazione il  Museo Comunale-Diocesano è un corpo morto mentre sulle  celebri opere d’arte deportate da settanta anni e più, a Roma e altrove, il silenzio di questa amministrazione è di tomba.

Una parte della cerchia muraria  del paese è in condizioni di crollo e l’amministrazione Comunale è stata condannata per gli abusi effettuati dai proprietari di alcune case poste a ridosso delle mura che scaricano le acque reflue sulla proprietà sottostante sulla strada di Valverde, abusi tollerati da questa ma anche da due amministrazioni precedenti. Il perito del tribunale ha steso una relazione in cui paventa il rischio di crollo e accerta  la “responsabilità del Comune  per il difetto di manutenzione e custodia”. Contro questa sentenza la  giunta ha presentato ricorso affermando che le mura sono  in buone condizioni. Tanto è vero che da tempo è crollata dall’alto parte della caditoia della porta esterna di Castello e non vi è mai stato posto nessun divieto di transito. Anche alcuni tratti delle mura  in zona Poggio Ranocchio, del XII-XIII secolo ( sempre d.C.), si stanno sgretolando, per rimediare ora sono sufficienti due palate di calce ma forse è troppo presto, tra qualche anno saranno ricostruite, spendendo molto di più. Stupefacente, stratosferica,  l’affermazione dell’avvocato Roberta Gaetani che ha curato il ricorso, la quale sostiene che il Comune sarebbe solamente “il custode delle mura”. Nemmeno per sbaglio, però,  ci informa sull’identità del  proprietario, tanto che con le stesse fondate ragioni si può ritenere che anche il Palazzo Comunale non sia di proprietà del Comune. L’avvocato afferma perciò che l’amministrazione potrà intervenire in merito solo in caso di danno (leggasi crollo) alle mura, sostituendosi ai privati e mettendo in carico le spese agli stessi. Se ne deduce quindi nei fatti che l’amministrazione per tutelare questo bene architettonico, elencato fin dal 1902 tra gli Edifici Monumentali d’Italia, aspetta il loro collasso;  come fu per quelle adiacenti alla porta esterna di Castello circa dieci anni orsono. A giustificazione dell’avvocato posso supporre che gli sia mancato il qualificato supporto dell’assessore alla cultura, signora Tosoni, promotrice assieme alla giunta comunale del ricorso, la quale certamente conosce tutti quei documenti che fin dal XIII secolo attestano il pagamento da parte del Comune per i lavori di riparazione, adeguamento e potenziamento delle fortificazioni.

In tutto ciò ricordo quel Nobel per la letteratura che definì Tarquinia paese di morti, quel “Salvatore Quasimòdo”, così ribattezzato da un ex sindaco, confermando in tal modo sia il parere dello stesso Quasimodo, sia il famoso adagio : “l’ignoranza non costa niente ma si paga cara”. Ne siamo certi, soprattutto a seguito della sentenza del 30.06 corrente con cui il tribunale ha ricusato il ricorso del Comune, ritenuto responsabile del non corretto deflusso delle acque reflue nel sistema fognario ai sensi dell’art. 908 c.c. dell’art. 48 del Regolamento dello stesso Comune di Tarquinia, imputandogli l’omissione dell’obbligo di custodia e di vigilanza sulle mura previsto dal Codice Civile. Il comune di Tarquinia (cioè noi) viene quindi condannato al pagamento delle spese di lite, a quelle generali e “dà atto della sussistenza dei presupposti a carico del ricorrente” (il Comune) condannandolo anche al pagamento di una penale.

Sulla questione del pagamento delle spese legali, va evidenziato che l’avvocato dell’amministrazione ha sempre sostenuto la responsabilità del Comune, di fronte alla Corte dei Conti, nel caso avesse speso le somme necessarie alla esecuzione delle opere indicate dal CTU. A questo punto, per come sono andate le cose, è doveroso chiedersi quale sia la responsabilità dell’Ente di fronte alla stessa Corte dei Conti, per le spese ulteriori a cui è stato condannato avendo perso ben due gradi di giudizio, per circa euro 30.000.

Dott. Giannino Tiziani